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Commento al regolamento europeo sull’intelligenza artificiale

A cura di Redazione Selefor CReFIS 

La proposta di regolamento sull’intelligenza artificiale definisce quest’ultima come “una famiglia di tecnologie in rapida evoluzione in grado di apportare una vasta gamma di benefici economici e sociali in tutto lo spettro delle attività industriali e sociali[1].

La crescita esponenziale dell’adozione di queste tecnologie in tutti i settori della società moderna ha spinto le istituzioni europee a stilare una proposta di regolamento che possa disciplinare l’uso delle stesse in modo da evitare la violazione dei diritti fondamentali dell’uomo e far sì che vi sia un mercato unico che tuteli tutti gli stakeholders. Inoltre, per incoraggiare l’innovazione sono stati proposti degli spazi di sperimentazione normativa (un sistema normativo meno stringente) per le PMI e le startup. La proposta di regolamento, redatta a Bruxelles il 21 aprile del 2021, si basa su quanto scritto nel “Libro Bianco sull’intelligenza artificiale” pubblicato nel febbraio 2020. L’approccio adottato dalla Commissione per sviluppare il regolamento si basa su una piramide del rischio che va da un livello “basso/medio” ad uno “elevato” per arrivare poi al culmine del “rischio inaccettabile”; in quest’ultima categoria rientrano tutti quei rischi legati alla sopracitata violazione dei diritti fondamentali che si possono esplicare con forme di razzismo, sessismo, violazione della privacy o forme di violenza fisica e psicologica[2]. L’idea è quella di applicare delle regole più o meno rigide in base all’entità del danno che l’uso improprio dell’IA può arrecare.

Partendo da questa classificazione piramidale, uno degli ambiti in cui l’IA viene impiegata con maggiore frequenza, grazie ai numerosi vantaggi tecnico-pratici che offre, è sicuramente quello del lavoro. Ormai sempre più attività prima prettamente umane, stanno cedendo il posto a quelle robotizzate (si pensi ad esempio alle grandi industrie di produzione di massa). I proprietari di queste aziende godono dei benefici più evidenti legati all’uso dell’IA, essa infatti garantisce più efficienza e più rapidità, con un impatto economico notevole. Eppure, nonostante possa sembrare controintuitivo l’IA, stando al “Libro Bianco”, permetterà un aumento dei posti di lavoro di 60 milioni di unità entro il 2025[3].

Ciononostante, la paura della crescita della disoccupazione non è diminuita; infatti, come detto, è desumibile che le occupazioni prettamente caratterizzate da attività routinarie saranno gradualmente estinte in quanto sostituite dalle macchine. Restano comunque indispensabili le abilità umane per la coordinazione delle attività dell’IA in modo che soprattutto in settori ad alto rischio si evitino errori fatali che possono avere ripercussioni gravi sull’azienda[4]. Da questa considerazione si intuisce la necessità di un adeguamento dell’uso dell’intelligenza artificiale in modo che la nuova generazione di lavoratori abbia un’impronta molto più manageriale e meno operaia, dunque, probabilmente già a partire dalla scuola e dalla formazione in generale sarà necessario puntare allo sviluppo di pensiero critico e creativo che non possa essere sostituito dalle apparecchiature elettroniche, ma che contribuisca come valore aggiunto.

Non è da sottovalutare infatti che non tutti i tipi di occupazioni sono realmente a rischio, il medico, lo psicologo, l’avvocato, ma volendo anche lo chef, l’insegnante e l’interior designer, che lavorano con la creatività, il ragionamento e la relazione, con ogni probabilità, non saranno succubi della macchina, ma padroni della stessa; ed in realtà è ciò che accade già in questo momento.

Su questi presupposti però si fonda il rischio di creare forti disuguaglianze in quanto coloro che hanno le conoscenze e le competenze adeguate riusciranno ad inserirsi nel nuovo mondo del lavoro, ma coloro che tali abilità non potranno acquisirle rischieranno la disoccupazione permanente[5] o, nella meno peggiore delle ipotesi, la dipendenza dalle decisioni di una macchina suscettibili di produrre effetti giuridici (e anche non giuridici) che incidono in modo significativo sull’interessato[6].

Si potrebbe quindi pensare che la soluzione più etica da parte delle aziende o industrie sia quella di non adottare strumenti IA, ma questa non può essere una soluzione in quanto imprese che non innovano e che non si tengono al passo con le nuove tecnologie rischiano nel giro di poco tempo di fallire, è quindi fondamentale un riassetto dell’intera cultura organizzativa in cui si spiega al dipendente non a temere la macchina ma a collaborare e a sfruttarla a proprio vantaggio in modo che apprenda e resti competitivo nel mondo del lavoro.


[1] Commissione Europea, Proposta di Regolamento, che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale (legge sull’intelligenza artificiale) e modifica alcuni atti legislativi dell’unione, 21.4.2021, COM (2021) 206.

[2] Commissione Europea, Libro bianco sull’intelligenza artificiale – Un approccio europeo all’eccellenza e alla fiducia, 19.2.2020 COM (2020) 65.

[3] Ibidem

[4] Lane, M., Saint-Martin, A., The impact of Artificial Intelligence on the labour market: What do we know so far?, in “OECDiLibrary”, 2021, n.256, pp.1-60.

[5] Balzano, G., Occupazione e disoccupazione, le due facce dell’AI, in AI4business, n.5, 2021.

[6] Cfr. Garante per la protezione dei dati personali, Ordinanza ingiunzione nei confronti di Foodinho s.r.l., Provvedimento n. 234/2021, in Registro dei provvedimenti

 

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